Carmine Crocco, generale dei briganti e soldato del Sud

“Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde”.

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Carmine Crocco, generale dei briganti e del Sud

Una storia che porta luce su molte vicende del Meridione all’indomani della nascita dell’Unità d’Italia. Il racconto delle gesta di Carmine Crocco e dei suoi “briganti”.

Scrivere è dare voce, è far conoscere, è scoprire storie. Al fondo, c’è una passione che accomuna tutti, lettori e scrittori. Trascorrere del tempo insieme, attorno al simbolico fuoco delle parole giuste che sempre riscaldano e ascoltare il passato che si ripresenta a noi, o il presente che guarda all’indietro.

Questa ricerca di storie mi ha fatto arrivare, per fare un esempio, al libro di Scanzi Con i piedi ben piantati sulle nuvole, che ho ascoltato in versione audiolibro e che racconta i suoi viaggi in moto per l’Italia. Proprio attraverso l’audiolibro di Scanzi sono arrivato alla scoperta di un’altra storia che mi ha particolarmente affascinato e che ho deciso di approfondire, quella di Carmine Crocco, “Generale dei Briganti”.

Il 18 giugno del 1905 alle ore 8,20 del mattino, nel carcere di Portoferraio sull’isola d’Elba, il direttore comunica che “Crocco Carmine, pastore, celibe, possidente di qualche cosa, cattolico e residente a Rionero in Basilicata è morto di astenia senile”.

Quando Carmine Crocco muore in povertà, tutto quello che possiede, si riduce a sei paia di calze di cotone, una maglia di cotone e una di lana, due berretti da notte.

Carmine Crocco, ribelle di origini contadine, raccoglierà attorno a sé numerose speranze di giustizia sociale da parte di tutti coloro lasciati ai margini dal nuovo stato dell’Unità piemontese. Carmine Crocco nasce a Rionero in Vulture il 5 giugno del 1830. Suo padre Francesco è pastore presso la nobile famiglia venosina di don Nicola Santangelo mentre sua madre, Maria Gerarda Santomauro, coltiva un piccolo campo a Rionero.

Sarà uno dei più temuti e ricercati fuorilegge del periodo post-unitario, guadagnandosi diversi appellativi: “Generale dei Briganti”,”Generalissimo”, “Napoleone dei Briganti”. Per la sua cattura verrà offerta una taglia di 20mila lire.

Nel 1836, ancora bambino, durante una mattinata di aprile, un levriero entra in casa Crocco e aggredisce un coniglio. Donato, in fratello di Carmine, cerca di riprenderselo e colpisce alla testa il cane uccidendolo.

Don Vincenzo, il padrone del cane, comincia a picchiare i bambini e sferra un forte calcio al ventre della madre che, incinta, abortisce. Finirà in manicomio per la depressione e il dolore per la morte di un figlio mai nato. Don Vincenzo viene ferito da un colpo d’arma da fuoco. Ne viene ritenuto responsabile Francesco Crocco, condannato ai lavori forzati.

Con la madre in manicomio e il padre in carcere, Carmine e il fratello, senza più nulla, vanno a fare i pastori in Puglia. Nel 1845, ancora quindicenne, Carmine Crocco salva la vita ad un nobile della zona, don Giovanni Aquilecchia di Atella. Come compenso, Aquilecchia regala 50 ducati a Crocco, che li utilizza per tornare a casa e far scarcerare il padre.

Passano due anni e arriva ancora una ricompensa. Don Ferdinando, figlio di Don Vincenzo, il nobile che aveva preso a frustate lui e i fratelli e a calci la madre, si propone per riparare a tanto dolore.

Offre a Carmine un posto di fattore. Il ragazzo chiede invece un pezzo di terra in affitto per mettersi da parte dei soldi ed evitare la leva (si faceva così nel regno delle Due Sicilie). Don Ferdinando è d\’accordo ma non riesce a mantenere la promessa perché, partito con i rivoluzionari, muore ucciso a Napoli.

La vita di Carmine comincia ad assumere quel carattere “greco” che costituirà la sua essenza fino alla fine. Costretto ad arruolarsi, deve fuggire perché uccide un uomo (forse per amore). Poi uccide per vendicare la sorella Rosina.

Compiuto l’assassinio, è costretto alla fuga, abbandona il servizio militare e passa al bosco (precisamente quello di Forenza) come un “ribelle jungeriano” dove trovano rifugio altri “waldganger”.

Si unisce ai Mille di Garibaldi, forse per convinzione, più probabilmente perché ha sentito dire che chi diserta e non combatte con i Borbone, avrà la grazia che non ottiene. Anzi, nonostante la sua partecipazione alla Battaglia del Volturno, viene spiccato contro di lui un mandato d’arresto.

Scappa e passa dalla parte di Francesco II che dopo la morte del padre vuole riconquistare il Regno delle Due Sicilie. La popolazione lucana, afflitta da miserie e stenti, è con ”i reazionari”. Troppe le ingiustizie subite, troppe umiliazioni, troppe mancate promesse. Carmine e i suoi vengono accolti accolte nei paesi come soldati della liberazione.

Diventa il capo della rivolta in Basilicata con sconfinamenti in Irpinia e Puglia. Due marce vittoriose nei paesi nel 1861, i contatti con i Comitati borbonici e la breve alleanza con il generale spagnolo legittimista Josè Borges spedito nel Sud, un esercito di contadini, pastori ed ex soldati borbonici che arriva a oltre duemila uomini.

Intorno a Crocco si avvicinano numerosi ribelli, perlopiù persone spinte dalla fame e dalle ingiustizie sociali, nella speranza che un mutamento governativo potesse contribuire a migliorare la loro esistenza.

Tra i duemila uomini al comando di Crocco, una folla composta da nullatenenti, soldati del regno Borbonico e delusi dal Governo Italiano, banditi comuni e reduci del disciolto esercito meridionale, troviamo luogotenenti come Ninco Nanco, Giuseppe Caruso, Caporal Teodoro e Giovanni “Coppa” Fortunato. Questa temuta armata porterà la rivolta in diverse zone del Meridione, mettendo sotto serio scacco il giovane Stato unitario.

Nel marzo 1863 alcune delle bande di Crocco (tra cui quelle di Ninco Nanco, Caruso, Teodoro Gioseffi, Coppa, Sacchetiello e Malacarne), tendono un’imboscata a un distaccamento di 25 cavalleggeri di Saluzzo, guidato dal capitano Giacomo Bianchi. Lo sterminio avviene in risposta alla fucilazione di alcuni briganti nei pressi di Rapolla, perpetrato dagli stessi cavalleggeri.

Tradito da un compagno, la vicenda del Generale dei Briganti volge al termine. Carmine cerca rifugio nello Stato Pontificio pensando che sarà aiutato. Si sbaglia. Viene imprigionato e condannato a morte. Gli vengono contestati 67 omicidi e diversi attentati, furti, estorsioni. La condanna a morte verrà tramutata in ergastolo.

Nel carcere di Portoferraio trascorre il resto della sua vita come un detenuto modello. Nelle sue Memorie scriverà: “Io non ho mai potuto comprendere come sia composto il consorzio sociale; so che il disonesto nessuno lo può vedere, tutti lo fuggono, la legge non lo capisce… e poi si chiama scellerato colui che lo assassina… e non si vuole affatto comprendere come non tutti gli uomini siano degni di vivere“.

E ancora: “Ed ora dopo tanti anni vi ripeto che quel figlio che ha a sorte di nascere da una virtuosa madre, dessa avendo ricevuto il minimo oltraggio da un uomo prepotente, se non prende vendetta, egli è un codardo, un uomo dappoco. Dunque io che nascendo, ho creduto che sulla terra ero qualche cosa, per un oltraggio fatto alla mia povera madre, mi sono accinto a far scorrere torrenti di sangue, e vi sono riuscito a meraviglia.

Lo Stato italiano pensava che sarebbe finito presto dimenticato. Invece, Carmine Crocco, grazie anche alle memorie riscritte dal capitano Eugenio Massa e a quelle più sgrammaticate di sua mano, raccolte da Saverio Cannarsa, diventerà figura leggendaria del brigantaggio meridionale e simbolo di parecchi aneliti di libertà.

Alcuni esempi che riecheggiano la “leggenda” Carmine Crocco. Di lui si parla nel romanzo “L’eredità della priora” di Carlo Alianello, nel romanzo storico “I fuochi del Basento” di Raffaele Nigro, è figura protagonista di film sul brigantaggio come “I briganti italiani” di Mario Camerini, o “Li chiamavano briganti!” di Pasquale Squitieri.

Ancora la figura di Crocco è protagonista nel docufilm “Darsi alla macchia” di Fulvio Wetzi, o nel documentario “Carmine dei briganti il generale Crocco”.

Non mancano poi opere televisive come lo sceneggiato “L’eredità della priora” nel 1980 e la fiction “Il generale dei briganti” nel 2012. Soprattutto la prima, in sette puntate girate a colori, è diventata un autentico cult con la sceneggiatura di Alianello, e la colonna sonora scritta da Eugenio Bennato e Carlo D’Angiò, diventata un autentico cult. Crocco è ricordato in molti convegni, ha un museo, una targa sulla sua casa a Rionero, a lui sono dedicati decine di libri.

“Il brigante è come la serpe, se non la stuzzichi non ti morde”.
(Carmine Crocco, intervistato da Salvatore Ottolenghi).

Foto: per gentile concessione del Parco del Vulture.

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