Il Ciclope: il “viaggio immobile” che diventa “avventura dell’anima”

Il Ciclope, uno di quei viaggi letterari che ci traghettano nei nostri luoghi dell’anima, infiniti peripli dove poter ascoltare se stessi.

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Il Ciclope: il “viaggio immobile” che diventa “avventura dell’anima”

Il Ciclope di Paolo Rumiz (Feltrinelli, Collana I Narratori, pagine 149, € 14,25) è uno di quegli audiolibri, perfetti per il “viaggio immobile” di cui narra lo stesso autore. Il Ciclope, racconto intenso e affascinante, catartico e visionario.

Tre intere settimane in un’isola disabitata di cui non si conosce il nome ma che si intuisce, l’Isola di Palagruza in Croazia, il diario di viaggio di Rumiz come guardiano del faro, un flusso di coscienza, uno sguardo che pone uno stigma capace di andare oltre la dimensione fisica.

Il Ciclope, uno di quei viaggi letterari che ci traghettano nei posti migliori, i nostri luoghi dell’anima, infiniti peripli dove ascoltarsi e capire che possiamo avere molto. Soprattutto quando si giunge a prendere confidenza con l’inquietante meraviglia del mondo. Perché, come scrive Rumiz, “Gli arcipelaghi dell’anima sono infinitamente più misteriosi e complicati di quelli reali”.

Il faro, questa sentinella solitaria, capace di ergersi su rocce battute dal vento e dalle tempeste, senza esserne scalfito, è da sempre ricoperto da un’aura di fascino e mistero. Il faro evoca naufragi, notti sprofondate di buio, tesori nascosti, misteri, avventure. Evoca forse ciò che vorremmo riuscire ad essere. Anche se la modernità, a causa dell’automazione, ha reso esuli e senza patria, molti guardiani del faro, soldati delle bianche spume e generali delle onde.

Il Ciclope inizia così: Era quella che si dice una nottataccia. Salivo per il sentiero a picco sul mare lottando con le raffiche, e nel buio dovevo badare a dove mettere i piedi. Da ovest arrivava il temporale, la folgore mitragliava un promontorio lontano simile a una testuggine. Ero sbarcato appena in tempo: con quel mare in tempesta non sarebbe arrivato più nessuno per chissà quanti giorni. Ero solo, non conoscevo la strada del faro e l’Isola era deserta. Miglia e miglia lontano, il resto dell’arcipelago era inghiottito dal buio e dalla spruzzaglia. Non una luce, niente”.

Bellissima la voce che accompagna gli audiolibri di Paolo Rumiz, quella del bravissimo attore Bruno Armando, scomparso a marzo di quest’anno, a soli 63 anni, (QUI in articolo che lo ricorda) che contribuisce a rendere Il Ciclope ancora più “ardente”. Una voce, calda, vivida le cui fattezze vi conducono a questa immersiva esperienza nel Ciclope, aprendo in maniera molto agevole le porte all’invisibile di cui questa lettura riesce ad essere testimonianza.

Un’isola uncinata al cielo con le sue rocce plutoniche, attracco difficile, fuori dai tracciati turistici, dove buca il cielo un faro tuttora decisivo per le rotte che legano Oriente e Occidente. Paolo Rumiz, viandante senza pace, va a condividere lo spazio con l’uomo del faro, con i suoi animali domestici: si attiene alle consuetudini di tanta operosa solitudine, si arrende all’instabilità degli elementi, legge la volta celeste.

Il faro sembra fondersi con il passato mitologico, austero Ciclope si leva col suo unico occhio, veglia nella notte, agita l’intimità della memoria, richiama le dinastie dei guardiani e delle loro mogli (il governo dei mari è legato all’anima corsara delle donne), ma soprattutto apre le porte della percezione. Nell’isola del faro si impara a decrittare l’arrivo di una tempesta, ad ascoltare il vento, a convivere con gli uccelli, a discorrere di abissi, a riconoscere le mappe smemoranti del nuovo turismo da crociera e i segni che allarmano dei nuovi migranti, a trovare la fraternità silenziosa di un pasto frugale.

Rumiz ci porta con sé davanti al Ciclope, dentro il Ciclope, per dirci la scoperta della solitudine, del vivere con poco, della confidenza con il cielo, con il ritmo della luce, con la propria interiorità e l’inquietante meraviglia del mondo. Un “viaggio immobile” diventato avventura dell’anima.”

Paolo Rumiz alterna le descrizioni dell’isola e il tempo che trascorre nel faro a riflessioni su viaggi e richiami culturali di vario genere. Tantissime le citazioni: libri, autori, figure religiose e mitologiche. L’atmosfera è pervasiva, lo stile colto, le immagini che Rumiz realizza animate da una luce che riporta ad un faro illuminato nella notte che, per quanto ottenebrata, riscalda e conforta.

“Sono nella macchina di luce, nella sua pancia, come Giona nella balena. La prima notte nel faro non è ancora finita, e il Ciclope si è già impossessato di me”. In questa solitudine popolata dal mistero della mente e dei richiami delle ombre non c’è spazio per la noia. In maniera alcuna.

Per tre settimane, Rumiz, avvolto nel grembo del faro, ritrova un modo antico di pensare, di meditare. Contempla, fa pace con se stesso, torna ad emozioni nascoste, nel suo “viaggio immobile” esplora ciò che da tempo è altrove.

Questo spazio è “un mondo dove, stagioni a parte, il tempo è scandito dall’avanzare delle rughe sul viso di ossute matriarche nerovestite”. Ogni passo trasmette un’erudizione affabulatrice che dona bellezza ad ogni espressione e la voce di Bruno Armando non può che esserne il completamento.

Le giornate che Rumiz trascorre sull’isola sono intense. Vengono scandite dai ritmi della natura, dai veloci cambi di tempo, dalle passeggiate solitarie, da nottate silenziose trascorse a leggere o a osservare il cielo e le stelle.

Grazie alla sua narrazione e a questo audiolibro passiamo anche noi per la “catarsi” del faro. Sembra di sentirlo il mare “che urla e che biancheggia”, quel Mare nostrum che cambia colore e che assume tutti i cromatismi dell’iride, una volta mare di battaglie, crocevia di commerci e culture, oggi attraversato da navi di lusso e da barche improponibili ricolme di chi è in cerca di una vita migliore.

“Il mare si vive d’inverno. In quella stagione è tutto mio. D’estate, invece, è cosa di tutti”.

Il ritmo di lettura è lento, cadenzato, come il tempo che immaginiamo trascorrere a contattto con se stessi dove c’è “distanziamento siderale” con qualsiasi distrazione. “Navigarvi con l’immaginazione è mille volte meglio che brancolare nel web, o castrare le mie divagazioni con la scorciatoia di un motore di ricerca”.

Il mare appare come l’incarnazione dell’ignoto e dell’inesrpimibile al tempo stesso. È un attimo a farlo corrispondere a quelle profondità dell’essere, patria remota per molti che viaggiano ancora nelle tempeste dell’inconsapevolezza.

E certo per vivere circondati dal mare e dall’ignoto, per abitare se stessi, bisogna esserne “degni”. “I faristi sono uomini duri, inchiodati a uno scoglio. Monarchi assoluti del loro territorio e, allo stesso tempo, reclusi al confino. Succede che, a furia di star soli, siano spesso torvi e magari un po’ matti”.

A ripensarci, mi rendo conto di non aver scritto io questa storia. Sono stati il vento e la marea. Io non ho fatto che registrarne la voce amplificata dal ventre cavo della torre. Per questo il diario che ho riempito non ha quasi bisogno di rielaborazione. Esso è, in tutto e per tutto, il racconto. Non mi resta che trascrivere e riordinare quelle note”.

Il Ciclope si rivela, dunque, come un viaggio dell’anima, una terapia che è nutrimento dello spirito. Il viaggio migliore. Dopo tre settimane Rumiz abbandona l’isola, seguendo l motto dei marinai che salpavano verso l’ignoto: “Non devi guardare la riva che lasci, o soffrirai di nostalgia”. Uno degli audiolibri più belli che ho ascoltato, da assaporare come un vino buono, capace di rivelare segreti e visioni.

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“Le corse in moto e il fastidio della modernità, il gusto della solitudine e il perdersi nella massa, l’ansia d’assoluto e il minuto mantenimento del presente, uomo del suo tempo eppure nato fuori tempo, asceta ed esteta”.