La trincea del ricordo è anche un fritto di pesce

Apologia del fritto di pesce come ideologia delle felicità, della memoria, delle sere d’estate e di un’adolescenza culinaria privilegiata.

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La trincea del ricordo è anche un fritto di pesce

La narrazione di un ricordo culinario che accende il desiderio: il fritto di pesce che preparava mia madre. Un’esplosione di sapori che ancora oggi “commuove”.

Munimentum è una trincea. Dove allocarsi con tutto il mondo che mi appartiene. Munimentum è dunque anche ricordo, memoria. E il ricordo, quando dolce anzi saporito, è una vera trincea. Perché si va indietro nel tempo e si naviga, non su web, ma nel flusso di ciò che è stato.

Premessa per approdare ad uno di quei ricordi che mi salta fuori, ogni qualvolta mangio qualcosa di buono. Partiamo così: il fritto di pesce che faceva mia madre accende emozioni. Si, lo so, penserete. Il solito mammone figlio del patriarcato che tesse le lodi di mamma.

No, c’è di più. Il ricordo nasce banalmente. Ieri sera guardo 4 Ristoranti di Alessandro Borghese di cui sono sfegatato “follower”, più di un tifoso oltranzista che se ne impipa del daspo, e su una delle tante puntate che apprezzo, ieri per la verità piuttosto anonima sui ristoranti italiani in Costa Azzurra che pareva di stare a Venezia durante il carnvale, insomma tutto molto over tourism, ti si scodellano a tavola (in tv) questo fritto di pesce. E la mente se ne va, colpa anche di un quartino che la sera ci sta come il cuscino a letto a notte fonda.

Questo fritto di pesce mi riporta a mia madre, alle sere d’estati al mare, a Cerenova Costantica dove avevamo questa villetta in stile moresco la cui manutenzione era dello stesso livello di Roma per il Comune, nel senso che a nessuno di mantenerla bene fregava nulla. In un attimo rivivo la mia adolescenza. Voi direte: inquitudini, tormenti, amorazzi? Col cacchio, la mia adolescenza è stata inesorabilmente segnata da quel fritto di pesce.

Che aveva tutta un’arte. Non solo della preparazione ma dei preliminari che altro che amore e sesso. Si partiva in 4, io, mamma, papà e fratello, in Fiat 126 gialla, detta la giallona, mio padre con un passato da alifsta, era approdato alla 126 che riteneva più comoda e alla Fiat 128 bianca per la mamma, e si faceva rotta su Ladispoli, si andava dal “pesciarolo”. Lì ti si apriva un mondo.

Era un pescatore con la faccia truce, rigorosamente in “ciavatte” anche di inverno. Si chiacchierava (guai a contraddirlo che ti scatenava qualche bandito), si prendeva quel che serviva per il fritto che pesava, come una volta, sulle bilance in metallo che chissà che creste e si adagiava sulla carta gialla più ruvida della lana “mortaccina” e dell’orbace di staraciana memoria.

Saluti e via verso casa con la giallona (peraltro un trattore vero che quando mio padre ebbe l’ardire di passare alla Fiat 126 Bis col motore a sogliola rischò la scomunica per le bestemmie che ogni volta riempivano l’etere per come si rompeva ogni due per tre).

A casa mamma, in mezzo a ‘sta famiglia di maschi scassazebedei, si metteva in cucina. Apro parentesi. Non amo gli slogan ma il vero femminismo ha avuto ragion d’essere. Soprattutto ripensando al culo che tante donne si facevano dall’alba al tramonto, come se fosse cosa normale svolgere, due, tre, quatrro lavori. Io mia madre l’ho vista (e la vedo ancora perché è ancora presente), parecchio stanca e insoddisfatta. Quindi, non attacatemi la pippa col patriarcato ma ricordiamolo a chiare lettere: c’è ancora molto da fare per le donne. E non sono contentini e fiaccolate. Buon 8 marzo sì ma bisogna fare di più. Non gli slogan del politicamente corretto o della sBraga.

Tornando al famoso fritto di pesce, in cucina era un delirio, tra farina, calamari e sfrigolare di padelle. Libidine pura era azzannarsi un calamaro nel piatto in attesa di andare incontro alla sua triste sorte, e mandarlo giù, incoronato di sale e olio.

Ecco, una volta a tavola, dimenticavo tutti i pruriti adolescenziali e anche i sogni erotici con la Muti. C’era il fritto di pesce, sua Maestà. La materia prima era eccellente, la cottura altro che Chef Borghese. Mia madre cucinava molto bene, pur essendo anoressica per vocazione (ancora lo è). Era talmente buono, i vertici del mio desiderio culinario, che non avrei mai rinunciato a una cena in famiglia per andare chissà dove.

Solo una volta, dovetti faticare non poco. Tornato da vieni ai famosi cento giorni prima della maturità, con l’ormone in subbuglio per una mia compagna di classe (che corrispondeva e che aveva dato alla gita la gioia del peccato e del peccatore), per farmi contento mia madre che ti aveva preparato per festeggiare il ritorno (e lo scampato pericolo visto quanto erano ansiosi i miei genitori)? Il fritto di pesce suvvia.

Sembra poca cosa. In realtà, dentro quel fritto di pesce c’era tutto. C’erano i profumi ammaliatori che scatenano il desiderio e i ricordi come una fragranza nobile, c’erano le sere d’estate, c’era una famiglia insieme, c’era l’adolescenza e l’attesa spasmidica per uscire di casa e andare incontro alla vita, c’era un’altra Italia. Da nostalgico e conservatore, quando voglio evadere, più che buttarmi nell’alcol e nelle dipendenze indotte dal sistema, ancora oggi, mi sparo un bel fritto di pesce. E a mia madre, darei il massimo dei voti per preperazione e pazienza nel sopportarci che nemmeno Borghese riuscirebbe a ribaltare il risultato ma solo confermare.E grazie a quel mondo che me lo ha concesso. E grazie anche a mia moglie, (qui il LINK alla sua ricetta) che quando vuole farmi felice, mi prepara il fritto di pesce, Natale è una vera festa, e la pizza.

Foto: Mind Cucina e Gusto.

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IL NORDKAPPISTA

“Le corse in moto e il fastidio della modernità, il gusto della solitudine e il perdersi nella massa, l’ansia d’assoluto e il minuto mantenimento del presente, uomo del suo tempo eppure nato fuori tempo, asceta ed esteta”.