Una barca nel bosco: adolescenza difficile e desiderio di riscatto

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Una barca nel bosco: adolescenza difficile e desiderio di riscatto

Una barca nel bosco, il libro di Paola Mastrocola, la storia di un talento sprecato e delle difficoltà ad essere “diversi” dagli altri nella fase adolescenziale.

Una barca nel bosco. Una storia di riscatto attraverso la bellezza delle proprie passioni e l’invito a non mollare mai. Una critica ad un sistema scolastico che troppe volte finisce con il non accorgersi della vera creatività.

Una barca nel bosco di Paola Mastrocola (Guanda Editore, pagine 269, 2004, € 11,40) è uno di quei libri che definisco struggenti, nostalgici, delicati e semplicemente di dolce e malinconica bellezza. Come il sole delle giornate d’autunno quando si incammina lento sui declivi delle tende e delle mura delle nostra stanza in casa, disegnando ombre di soffusa tenerezza.

Gaspare Torrente è il protagonista, soprannominato dalla zia Elsa, “una barca nel bosco”, a causa della sua “inadeguatezza” rispetto al mondo che ha intorno. Il ragazzo, originario del Sud Italia, è figlio di un pescatore, ed è particolarmente sensibile e intelligente. Vuole diventare un latinista e si trasferisce a Torino per studiare perché nella sua isola non ci sono strutture adeguate. A soli tredici anni, Gaspare traduce Orazio e legge di poesia, ama Verlaine. Quando si dice, viaggiare con la mente e sulle ali della fantasia.

Gaspare deve frequentare un liceo all’altezza e la sua famiglia, pur non essendo ricca, si adopera in tutti i modi per poter permettere a Gaspare di arrivare alla realizzazione del suo sogno. Il padre pescatore, allora, rimane a lavorare e a fare sacrifici mentre Gaspare approda a Torino.

Ma Gaspare a Torino rimane deluso e non trova quello che si aspetta. Sia a scuola che tra i suoi coetanei. Gli insegnanti sono svogliati e senza preparazione, i compagni di scuola, anziché pensare a studiare, seguono, in maniera pedissequa, mode e fisime consumistiche con cui Gaspare non ha mai avuto a che fare: playstation, felpe, scarpe non sono mai stati tra i suoi idoli e nei suoi pensieri.

Ed ecco le difficoltà. È qui che Gaspare diventa “uno di noi”. Il ragazzo si sente diverso dagli altri. Lui vuole imparare e provare a vivere di cultura. Per questo si ritrova emarginato e non accettato dagli altri.

Però, alla fine, finisce per cedere. Non vuole sentirsi escluso e comincia ad avere un cambiamento che la madre non riesce a comprendere. E se ne rammarica. Il padre del nostro aspirante latinista è rimasto a fare la dura vita del pescatore nel tentativo di dare a Gaspare ciò che sperava.

Tutto cambia, però, anzi tutto scorre e bisogna cedere per vivere in mezzo agli altri. Gaspare si adegua ai compagni e per farsi accettare si mette ad aiutarli, passando i compiti di latino. Bramosia di riconoscimento, si chiama, umano desiderio di essere apprezzati.

E quante illusioni passano attraverso questo umano desiderio, spesso le peggiori. Finché non siamo interiormente pacificati, diveniamo esposti a qualsiasi corrente, possibili prede di imbonitori dal sorriso burroso come l’omino che passa a prendere i ragazzi per portarli nel paese dei balocchi e trasformarli in ciuchi su Pinocchio.

Quando incontra Furio, soprannominato l’Avulso, finalmente Gaspare trova un vero amico. Passano gli anni. Gaspare si iscrive all’Università, a Giurisprudenza, ma ancora non riesce a concretizzare il suo sogno. Che non realizzerà mai perché finisce per aprire un bar, nonostante la laurea. Intanto la madre e zia Elsa muoiono e Gaspare rimane solo. Solo con le sue amate piante.

Ritrova il suo amico Furio e decide di progettare Boschi Mondo e peluche insieme a lui. Il Bosco Mondo rappresenta una nuova possibilità per Gaspare. Curare ogni giorno le sue piante, l’inventare metodi di irrigazione o ventilazione o di oscillazione per le piante, il pazientare giorno per giorno la loro crescita, cambia il vivere di Gaspare.

È il riscatto “etico ed estetico” nei confronti di una società che premia solo gregari e leccaculo, mezzi ladri e conformisti, opportunisti e facce di bronzo, una voce di ammonimento per un intero sistema scolastico che si rivela incapace di coltivare talenti.

Paola Mastrocola, insegnante, ne coglie aspetti divertenti e drammatici al tempo stesso, immedesimandosi nella voce di un ragazzo che tra stupore e amarezza, costruisce il suo percorso di formazione fino a diventare un uomo.

Gaspare, prima di tornare nella sua isola e rimpiangere l’amato padre, riscopre tutto il valore e la fatica fatta dalla famiglia, in una struggente riflessione finale. Consapevole di non avergli potuto raccontare tante cose e di quanto avrebbe voglia di farlo ora che non c’è più.

In questo libro le tematiche dell’adolescenza, degli affetti familiari, della non-omologazione di branco vengono affrontate con lucidità e una poesia unica, tessuta di un gusto agrodolce che fa venire in mente gli anni che se ne vanno e corrono veloci.

Zia Elsa, Furio, il maestro, il Seba sono figure cariche di elementi simbolici che sottolineano l’approccio difficile del giovane con la realtà del mondo. La sua difficoltà ad esprimere se stessso di fronte alla pressione e ai condizionamenti del “numero” è uno dei cardini caratterizzanti di tuttta la storia e su cui mi piace soffermarmi.

La società diventa una palestra ardua per chi vuole autodeterminarsi perché infinite e tentacolari sono le dialettiche che ricreano lo stato confusionale dell’agire e del pensare. In particolar modo quando ci si confronta con i propri sogni ma l’esperienza è ancora poca.

Progettare Boschi Mondo è una vittoria, la passione per le piante una missione salvifica. Perché è necessario trapassare il senso del reale, trovare un interesse, una qualsiasi forma di bellezza che ci “salvi dal mondo”.

Una scelta ancora più importante per non farsi trafiggere dal “luogocomunismo” del vivere. Altrimenti non si arriverà mai a ciò che siamo. Ho intravisto, in questo volume di Paola Mastrocola, o almeno è stata questa la mia lettura, la stessa malinconica, suggestiva, nostalgica intensità di alcune visioni.

Una barca nel bosco coincide con un “sogno alternativo”, con una possibilità di essere altro o almeno tentarlo in una società che predica l’omologazione di massa, oggi più di ieri.

Il desiderio di essere Due di due, come il titolo del libro di Andrea De Carlo, ad esempio, e la grazia e la dolce diversità di Caterina del film Caterina va in città di Virzì (ho in mente la bellissima scena finale di quando la ragazzina in piedi sul letto e con le cuffie intesta ascolta musica classica ad occhi chiusi, saettando l’aria con le mani, nel gesto mimico della direzione d’orchestra, leì così splendidamente al di fuori dei due gruppi omologhi dei giovani simolbeggianti la destra e la sinistra).

Poi, la riflessione finale dedicata al padre, l’ho trovata magistrale. Sia per come in maniera fluida arriva in gola, come l’ingoio di qualche lacrima di troppo, sia perché chi non ha avuto un padre o una madre a cui voler dire tante cose anche quando non è stato possibile farlo più?

E allora, ancora oggi, quando leggo di sogni, padri, amicizie solitarie, branchi standardizzati, quando leggo del tempo che passa, dell’entusiasmo dell’essere giovani e vivi e della voglia di essere se stessi e nutrire il proprio sé, non posso non provare commozione e apprezzare una storia. Soprattutto se scritta bene.

Con semplicità, essenzialità e quella capacità di arrivarti dentro che, in un attimo, è capace di farti rivedere tante cose e ripensare a certi momenti in cui, come Gaspare, ciascuno di noi prova quel senso di solitudine mista al desiderio di realizzare i propri sogni. Mentre siamo in cerca di noi o di altri come noi. Come una barca nel bosco.

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“Le corse in moto e il fastidio della modernità, il gusto della solitudine e il perdersi nella massa, l’ansia d’assoluto e il minuto mantenimento del presente, uomo del suo tempo eppure nato fuori tempo, asceta ed esteta”.